Doping, Riccardo Riccò torna a parlare da Tenerife: “Io ho barato ma barano tutti”

Riccardo Riccò è stato uno dei professionisti più controversi degli ultimi anni. Lo scalatore modenese, esploso tra il 2007 e il 2008 non ancora 25enne con quattro vittorie di tappa al Giro d’Italia e due al Tour de France, è attualmente squalificato per doping fino al 2024. Dopo essere stato sospeso per CERA al Tour de France 2008, rischiò la vita per una autoemotrasfusione nel 2011 procurandosi questa lunghissima squalifica. Ora fa il gelataio alle Canarie ed è ormai lontano dal mondo del pedale e, dopo una breve intervista concessa a La Gazzetta dello Sport lo scorso dicembre, è tornato a parlare ieri sera in esclusiva a Tv7, magazine di approfondimento del TG1. Nel 2014 è uscito anche un libro-confessione con tutti i retroscena della sua carriera, “Funerale in giallo”.

Intervistato a Tenerife, dove vive con la moglie e il figlio, ripercorre le prime fasi della propria notorietà arrivata nel 2007: “Avevo 23 anni, mi è esploso il mondo addosso e non capivo più niente. Ti fai prendere dalla fama, i soldi, i media e la voglia di vincere e dici cose che non dovresti dire”, esordisce, non rinnegando le scorciatoie che gli hanno permesso di emergere: “Oggi non dico che non mi sarei dopato. Sarei ipocrita, come gli altri. Mi sarei dopato, ma mi sarei affidato a qualcuno di competente. Non avrei fatto da solo e magari le cose sarebbero andate diversamente”.

Il sogno di diventare un campione del ciclismo si è, di fatto, infranto il 17 luglio 2008, prima della partenza della dodicesima tappa del Tour: “Ricordo ancora che avevo le cuffie e ascoltavo la musica prima della partenza e che, a un certo punto, ho visto arrivare il medico dell’organizzazione del Tour salire sul bus con una busta dicendomi: ‘Signor Riccò c’è stato un risultato non negativo a un controllo antidoping’. In quel momento mi è crollato tutto addosso“. “Mi hanno portato in gendarmeria – prosegue – Mi hanno interrogato, ma non sapevo una parola di francese. È stata un’esperienza che mi ha segnato e che ricorderò per tutta la vita”.

Riccò spiega anche come si svolgeva il suo sistema di doping: “Prima della partenza del Tour mi sono iniettato quella sostanza che poi mi hanno trovato, il CERA, due giorni prima di partire. Avrei dovuto iniettarmene un’altra mezza fiale a metà Tour. A inizio anno vengono comunicati alle squadre tutti gli spostamenti che vengono poi riportati ai leader. In questo modo si possono organizzare gli incontri nelle stanze degli alberghi con persone estranee che ti consegnano quanto dovuto. Oppure vai tu a raggiungerli in un altro posto”.

Ai tempi lo seguiva un medico, oggi scomparso, già inibito per faccende legate al doping. Fu lo stesso Riccò a contattarlo: “Quando ci incontrammo mi disse ‘vai a fare una salita a tutta’ e, arrivati in cima, si mise a piangere dicendo che era dai tempi di Pantani che non vedeva un ragazzo andare così forte in salita”. A questo punto iniziò un sodalizio con “la preparazione che si basava innanzitutto sugli allenamenti, sull’alimentazione e sul fare una corretta vita da atleta e poi sui farmaci. Nel 2007 c’erano ancora l’EPO, il GH, il testosterone, il cortisone“.

Scontata la prima squalifica di 20 mesi torna a correre, non si affida più al medico che lo aveva seguito precedentemente, ma decide ancora una volta di non correre solo a pane e acqua: “Mi sono preparato anche lì, logicamente, con le trasfusioni di sangue. Mi levavo il sangue, lo tenevo in un frigorifero a temperatura costante per 28-29 giorni. Quando te lo rimetti, il tuo sangue è più ossigenato e fa l’effetto ‘EPO'”.

Quasi dieci anni dopo, Riccò non si nasconde: “Io ho barato, ma barano tutti. Siamo dei bari. Che me lo vengano a dire qua in faccia che dico bugie, li aspetto tutti a braccia aperte”. La sua carriera da professionista finisce però di fatto nel febbraio del 2011, quando rischia la vita a causa di una autotrasfusione non praticata correttamente: “Purtroppo una sacca si è infettata e, dopo averla rimessa, ho cominciato a stare male, avevo delle crisi respiratorie e i reni in blocco. Sono arrivato in ospedale con la funzionalità degli organi al 5% e il medico non sapeva se arrivavo al giorno dopo o meno”.

Nel 2012 arriva quindi l’ultima squalifica, che mette fine all’epopea di Riccardo Riccò: “Dopo l’ultima squalifica ho passato un periodo di depressione perché ero frustrato, ho passato cinque anni senza fare niente. Solo mio figlio mi ha dato la forza di non suicidarmi, così ho lasciato definitivamente la bicicletta e mi sono messo a fare qualcos’altro”.

“Ho un amico che fa il gelataio da vent’anni – aggiunge dalla sua gelateria – quando correvo, mi chiedeva sempre se vedevo in giro per il Mondo dei posti interessanti per aprire una gelateria. Quando sono arrivato a Tenerife l’ho chiamato e da lì è nata la mia nuova avventura“.

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